ARTICOLI SULLA RELIGIONE CRISTIANA

sabato 28 febbraio 2009

CRISTIANESIMO PAOLINO O GIUDAISMO-SECONDA PARTE

Cristianesimo paolino o Giudaismo
Prof. Luca Fantini, TerraSantaLibera.org






Parte II
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“Insultati, benediciamo;

perseguitati, sopportiamo;

calunniati, confortiamo;

siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi”



1 Corinzi, 4, 12-13



La missione di Paolo si può ben definire tutta caratterizzata dalla volontà di liberare completamente e definitivamente il Cristianesimo da qualsivoglia influsso giudaizzante, in primo luogo, come visto, dalla Legge precristica, ma non solamente da questa, bensì da tutta l’impronta etnica e ipernomista giudaica. Paolo – e nella dottrina e nell’azione apostolica – riportava il centro essenziale della Comunità Spirituale in quella trascendente forza di fuoco che si esprimeva nel Golgota e nella Resurrezione, liberandola gradualmente da ogni interferenza criptogiudaica o da ogni dissimulazione giudaizzante che, inevitabilmente, si infiltrava nell’originario movimento cristiano.

Paolo concepiva infatti la storia dell’umanità come un dramma escatologico che si snodava in due tempi: lo spartiacque decisivo, nella sua visione, era segnato dalla passione, dalla morte e dalla resurrezione del Cristo. L’Israele etnico (rappresentato dal popolo giudaico) e la sua Legge avevano una collocazione provvisoria, nient’affatto metafisica, nella prima scansione del dramma.

All’inizio dell’autunno del 51 d.C. Paolo faceva ritorno ad Antiochia, dopo un’assenza di circa cinque anni. Aveva infatti dato avvio ad una missione su Efeso che si era tradotta in una riuscitissima campagna di conversione in Macedonia, Galazia e Acaia. La maggior parte dei convertiti era composta, come è risaputo, da pagani. Paolo si considerava infatti l’Apostolo dei gentili. Il processo di conversione dei pagani era essenziale e diretto, segnato dal rapporto di comunione spirituale unitiva con il Cristo. L’Apostolo (Romani, 10, 1-11), spiegava non a caso che i Giudei non avevano zelo per Dio in base a una retta conoscenza, in quanto fine di tutta la Legge diveniva – dopo il Golgota - Cristo; la confessione nello spirito di Cristo unico salvatore, risorto dal regno della morte, diveniva così un processo di conoscenza e al tempo stesso liberazione - dalla legge del peccato e della morte, Romani 8,2 -, che non faceva alcuna distinzione tra Giudeo o Greco, data l’universalità escatologica, non etnica, del regno dello Spirito.

Giunto dunque finalmente ad Antiochia sull’Oronte, Paolo attendeva di ricevere una calorosa accoglienza. Viceversa veniva accolto con freddezza e poco calore dalla comunità cristiana. Per Paolo era una grande sofferenza scoprire che tale freddezza era proprio dovuta alla sua concezione escatologica, che si fondava sul superamento metafisico e cosmologico del Cristianesimo sul Giudaismo, in quanto la prassi continua (non limitata al dato storico circoscritto) misterica della Resurrezione quale evento cosmico che unificava trascendenza ed immanenza completava, realizzava, infine superava certamente la mera Legge. Infatti l’oggetto essenziale del kerigma, morte e resurrezione dell’Impulso Cristo (1Cor, 15, 3-5), narra una storia cosmico divina e soteriologica non un evento cronachistico.

Il motivo per cui il centro stesso della sua visione era messo in discussione era da vedere nel fatto che ad Antiochia giungevano alcuni giudaizzanti, i quali insistevano, con metodi realmente terroristici che contemplavano la liceità della diffamazione calunniosa verso l’opera missionaria di Paolo, che tutti i gentili che si convertivano dovevano diventare Giudei prima di essere accettati come Cristiani (Atti, 15,1).

La Comunità Cristiana di Antiochia diveniva quindi l’arena nella quale si contrapponevano e scontravano due differenti visioni del mondo, radicalmente diverse: il cripto-Giudaismo dei giudaizzanti i quali sostenevano la necessità di praticare, accanto al Vangelo, anche la circoncisione e le altre disposizioni della Legge mosaica e il reale Cristianesimo dell’Apostolo Paolo.

In differenti casi e in altre Comunità, Paolo ed i suoi dovevano affrontare questa terribile minaccia spirituale che in fondo negava intimamente l’essenza divina ed universale del sacrificio del Golgota e della Resurrezione, volendo restringere e conchiudere il Cristianesimo entro gli orizzonti e le dinamiche del settarismo etnico naturalistico giudaizzante il quale, per quanto ritualmente e metafisicamente fondato su una effettiva e legittima Tradizione spirituale, dopo l’avvento del Cristo si svuotava assolutamente di ogni sua positiva sostanzialità. Probabilmente, questi giudaizzanti anti-paolini agivano sotto la pressione “zelota” dei Giudei non cristiani[1].

Il divino fervore e la raffinata tecnica di pensiero mediante i quali l’Apostolo Paolo affrontava questa minaccia (che considerava una vera e propria eresia giudaizzante, che contrastava con lo spirito del Vangelo) sono testimoniati nella Lettera ai Galati. Il motivo che induceva l’apostolo a scrivere questa lettera era dovuto al fatto che in sua assenza si erano intrufolati fra i cristiani della Galazia alcuni giudaizzanti i quali sostenevano la necessità di praticare – accanto al Vangelo – la circoncisione e le altre disposizioni della Legge mosaica. Ma essi – ci dice l’Apostolo (Gal, 1, 6 - 9) - finivano per aderire ad “un altro Vangelo”, che non era quello di Cristo:



Mi meraviglio che così alla svelta vi volgiate da colui che vi ha chiamato nella grazia di Cristo a un altro Vangelo che, in realtà, non esiste di diverso; solo che vi sono alcuni i quali vi turbano e vogliono stravolgere il Vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un Angelo del cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che noi vi annunciammo, sia anatema! Come vi ho detto prima, ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un Vangelo diverso da quello che riceveste, sia anatema!



Ma non può esistere “un altro Vangelo”: ciò equivarrebbe ad una bestemmia.

Esistevano invece (e esistono tuttora, ancora più forti e radicali!) i giudaizzanti o i Giudei veri e propri, ossia i falsi “predicatori del Vangelo” i primi, bestemmiatori e negatori del Vangelo, i secondi. Costoro sono da condannare – secondo la Lettera ai Galati - allo sterminio: tale è il significato di anatema, che corrisponde all’ebraico herem. A tale condanna non potrebbe sfuggire nemmeno l’Apostolo qualora, per ipotesi invero remota, si mettesse a predicare un Vangelo diverso di quello autenticamente cristico già ricevuto dai Galati.

Il Vangelo è cristico o detto di Cristo non solamente poiché il Cristo ne è l’oggetto, ma soprattutto poiché ne è l’Autore, sempre vivo e spiritualmente operante. La Tradizione viva della Cristianità, la cui essenza è l’azione pentecostale eroica apostolica, in effetti assai malvista da protestanti e calvinisti, tradizione immortalante ed eternante in quanto fondata sulla prassi misteriosofica di consapevole deificazione del fedele, ha qui il suo lievito metafisico e la sua suprema scaturigine. “Custodisci il deposito” (1Tim, 6-20; 2 Tim, 1,14), dirà in seguito con insistenza l’Apostolo a Timoteo, facendo proprio a questo riferimento.

L’Apostolato paolino, infatti, sulla linea della Tradizione solare apostolica, non derivava dal sangue e dalla carne (Gal, 1, 16); la grande luce del Logos veniva invece dall’alto e la sua missione dall’alto era legittimata.

Di ciò si aveva chiara prova sia nel “concilio” di Gerusalemme sia nell’incidente di Antiochia.

Per “concilio” di Gerusalemme, con ogni probabilità, Paolo non intendeva quello narratoci dagli Atti. A causa della endemica violenza della reazione giudaizzante di fronte al messaggio rivoluzionario che la predicazione paolina portava con sé, la comunità di Antiochia stabiliva di mandare Paolo e Barnaba (ma l’Apostolo conduceva con lui anche Tito: Gal, 2,1) dagli Apostoli e dagli “anziani” della Chiesa madre di Gerusalemme per dirimere la questione. Riunitosi il “concilio” di Gerusalemme, veniva deciso a favore delle tesi di Paolo: solo la fede nel Cristo Risorto giustifica, le opere della Legge non hanno valore salvifico (Atti, 15, 1-29). Gli stessi Apostoli di maggiore autorità e prestigio (Pietro, Giacomo, Giovanni) riconoscevano la validità assoluta dell’azione paolina.

Di fronte a questa “vittoria” e legittimazione della dottrina paolina, si scatenava la reazione dei giudaizzanti, che inviavano dei propri emissari da Gerusalemme ad Antiochia per sabotare la vita e la legittimità della Comunità Cristiana di ispirazione paolina. I gerosolimitani avevano certamente l’obiettivo di tracciare una netta frontiera tra cristiani ebrei e cristiani gentili, poiché i giudaizzanti ritenevano che solo nell’isolamento avrebbero potuto conservare i loro valori tradzionali. Così i giudaizzanti facevano leva sulla tradizionale certezza giudaica in base a cui i gentili contaminavano cibi e bevande degli ebrei appena se ne fosse presentata la minima opportunità. Si parla oggi tra gli studiosi più equilibrati, di “una tattica terroristica” giudaizzante antipaolina [2], che facendo leva sulla rigorosa applicazione delle leggi alimentari o di pratiche fisiologiche somatiche, tendeva chiaramente a contrastare l’essenza spirituale universale della visione e della prassi paoline fondate sul Vangelo. Già Paolo (Gal, 2,4) aveva definito i giudaizzanti “falsi fratelli intrusi, i quali si erano introdotti di sottomano per spiare la nostra libertà, quella che abbiamo in Gesù Cristo, allo scopo di renderci schiavi”; poi non esitava, senza paura alcuna, a redarguire la stessa condotta di Pietro -che sopraggiunto anche egli ad Antiochia, dopo la venuta dei giudaizzanti, finiva per cedere alle loro richieste “simulando” con loro le varie pratiche fisiologiche, timoroso dei giudei – sottolineando apertamente, di fronte alla presenza di tutti, che alla Legge si è sostituita la presenza del Cristo, che ha eliminato l’artificiale ed astratta divisione tra giudei e gentili, mostrando come tutti gli uomini, gravitanti sotto la schiavitù del principe di questo mondo, debbono, per la liberazione, sperimentare la Resurrezione. Per questo, continuava Paolo, gli Apostoli, pur essendo di nascita Giudei (dunque Giudei secondo la carne ma non secondo lo Spirito!), abbattevano completamente la necessità della Legge per aderire al verbo di Cristo (Gal, 2, 15-16).

La Legge – che i cripto-Giudei volevano imporre al resto della Comunità Cristiana annacquando così l’essenza della dottrina del Cristo, fondata sull’evento cosmico della Passione, Morte e Resurrezione – era ritenuta alla stregua di una “maledizione”, in quanto la Legge criptogiudaica non era assolutamente in grado di “giustificare”, ossia di abolire la maledizione cosmica ed eterna della schiavitù e del peccato. Nella visione cosmologica e pneumatologica paolina, Cristo forzava dal di dentro la Legge, diveniva solidale con la nostra “carne di peccato” (Rom, 8, 3), e inseminando nella umanità schiavizzata e spezzettata il germe della Resurrezione e della divinità, rendeva possibile superare la necessità schiavistica della Legge. Per questo l’Apostolo sosteneva che “Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della Legge, divendendo lui stesso maledizione a favore nostro” (Gal, 3,13).

La Legge non era contro le premesse divine, prima che arrivasse l’era della Libertà – con l’Avvento cristico – la Legge aveva una sua positiva funzione, quella di essere appunto “il nostro pedagogo verso Cristo”, ma in seguito al Golgota, con la fondazione cosmologica del principio di Resurrezione, era la fede che forniva la possibilità di divenire “figli di Dio”. L’unica realtà era per Paolo quella del Cristo cosmico, l’uomo poteva così compenetrare la sua intera individualità dell’Impulso Cristo superando la sua funzione meramente somatica e naturale (Giudeo o Greco, uomo o donna che fosse). Paolo considerava tutti i cristiani, di provenienza sia giudaica sia pagana, come morti alla Legge. Essa era nella sua concezione un elemento del vecchio ordine del mondo, come lo erano il peccato e la carne, segni di schiavitù verso una remota ed in fondo astratta trascendenza, dopo l’incarnazione del Logos nell’immanenza.

Paolo introduceva così due elementi fondamentali, essi stessi connessi, rispetto ai quali il messaggio somatico e naturalistico fisiologico criptogiudaico perdeva definitivamente significato. L’elemento della libertà e l’elemento della crocifissione come evento di rinascita spirituale e di liberazione pneumatica.

Proprio in Galati (4, 21,31), l’Apostolo sottolineava come dalla discendenza della schiava Agar poteva nascere solamente il testamento della “schiavitù” che finiva per essere l’essenza stessa della Legge mentre dalla discendenza di Sara, a lungo sterile ed infeconda, in quanto simbolo della lunga attesa messianica, nasceva la libertà. I veri figli della promessa alla maniera d’Isacco divenivano così, nella prospettiva escatologica paolina, i cristiani, non più gli Israeliti. Da questa contrapposizione cosmologica (Agar, Ismaele e i Giudei da un lato, Sara, Isacco e i Cristiani dall’altro) Paolo traeva due importanti conseguenze che hanno una grandissima rilevanza anche nei tempi odierni. La prima è che come Ismaele perseguitava Isacco, così fanno oggi i Giudei con i Cristiani (v. 29). La seconda è che, come Sara chiedeva ad Abramo l’espulsione della rivale e dello stesso figlio, affinché questi non prendesse parte all’eredità (Gen 21, 10 –12), così anche i Giudei, finchè rimarranno tali, ossia ostili al Vangelo, non potranno aver parte all’eredità dei beni autenticamente messianici e saranno estromessi dal regno dello Spirito.

Agar continua così ancora oggi a vivere in tutti i Giudei ostili al Cristianesimo. Sara vive invece in tutti i “figli della promessa” che vivono nel retto, verace spirito della libertà cristiana. Ecco, il significato del verso 31:



Perciò, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma della donna libera.



Alla concezione metafisica cristiana della libertà (Paolo introduce nel lessico teologico tale motivo espresso in continuazione con i vocaboli liberare – eleutheroun -, libertà – eleutheria -, libero – eleutheros – e viene per questo definito, oltre che Apostolo dei Gentili, Apostolo della libertà), concezione in cui liberare è riscattare – exagorazein -, “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge”, l’Apostolo unisce il motivo dello “scandalo della croce” (Gal, 5,11): scandalo per i Giudei ed i giudaizzanti, in quanto il Cristo, assumendo natura umana, incarnandosi, divenendo uomo al modo umano, per generazione, facendo della passione e della morte l’asse stesso cosmologico della storia, sovvertendola dunque e azzerandola dal suo interno, trasforma radicalmente la condizione degli uomini, giudei o gentili che siano. Paolo sosteneva che il Cristo, coinvolgendo gli stessi credenti nella sua passione e nella sua morte per inchiodamento e crocifissione, li faceva morire alla Legge, al dominio Giudaico, facendoli rinascere di vita nuova. I credenti autentici ricevevano così il sigillo dell’adozione figliolanza divina, la figliolanza abramitica, che azzera e annulla l’eredità carnale etnica giudaico-ismaelita.

L’essere cristiani, in Paolo, significa “correre” nella via della croce e della Resurrezione, poiché “quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue voglie” (Gal, 5,24).

Al contrario dei criptogiudei o i giudaizzanti, che predicano la circoncisione al solo scopo di sfuggire alla persecuzione per il nome di Cristo (Gal. 6, 5, 11) e gloriarsi gli uni davanti agli altri per il numero dei loro adepti, l’Apostolo pone la sua gloria nella croce solare, luminosa di Cristo, per questo Egli percepisce che il mondo è “scomparso”, crocifisso, diventato ormai oggetto di obbrobrio e ripulsa come lo era per gli antichi il patibolo della croce. L’unica cosa che ormai importa è la “creatura nuova” ri-nata nello spirito del Logos cosmico, ossia del Cristo risorto. Solo questi ri-nati potranno far parte attiva del regno della Redenzione e dello Spirito. Essi saranno l’autentico “Israele di Dio”, in antitesi all’ Israele “secondo la carne”. Paolo “schiavo in Cristo” – la schiavitù in Cristo è in Paolo l’autentica libertà in quanto crocifigge l’uomo inferiore facendolo rinascere in uomo cristificato – termina questa profondissima e assai radicale Lettera, avvertendo in tal modo i giudaizzanti:



D’ora in avanti nessuno mi procuri più fastidi: io porto infatti nel mio corpo le stimmate di Gesù.



Paolo stesso veniva non a caso a più riprese perseguitato da costoro, avendo sul suo corpo i segni della sofferenza e della persecuzione, autentici sigilli di cristificazione. Coloro che sono “nati secondo la carne” (Gal, 4,29), i discendenti dell’eredità carnale giudaico-ismaelita, i Nemici dell’uomo li chiama l’Apostolo Paolo, in quanto Nemici del Figlio dell’Uomo, infatti, perseguitavano coloro che ri-nascevano secondo lo Spirito. I Giudei perseguitano i Cristiani, sembra essere questa la missione permanentemente contro-resurretiva e cristianofoba della Sinagoga, sosteneva l’Apostolo: “Hanno ucciso perfino il Signore e i profeti, e hanno perseguitato anche noi, e non piacciono a Dio, e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai gentili perché si salvino” (1Tess. 2, 15-16). In 2Cor. 11, 21-29, Paolo diceva di sentirsi in pericolo a causa della violenza aggressivamente cristianofoba dei Giudei:



Dai Giudei per cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno, tre volte sono stato battuto con le verghe, uno volta lapidato…..



Come sosteneva Ireneo, Paolo era l’autentica bestia nera dei Giudei e dei giudeo-cristiani[3]; secondo Origene, gli ebioniti e gli encratiti si basavano sull’ordine dato dal sommo sacerdote Anania di colpire l’Apostolo sulla bocca (Atti 23,2); sulla scia dei Riconoscimenti dello Pseudo-Clemente, tutte queste correnti giudaiche o criptogiudaiche consideravano Paolo il vero nemico, l’ “uomo nemico”[4].

Alcuni, tra i filosofi cristiani più illuminati e sereni, continueranno in seguito la gigantesca lotta spirituale avviata da Paolo. E’ il caso di Giustino, filosofo e martire cristiano, il quale nel famoso Dialogo con il Giudeo Trifone, ambientato nella scuola filosofica di Efeso (155-160) continua con enorme sottigliezza e notevoli capacità intuitive la visione paolina. L’essenza del Dialogo si basa sulla concezione paolina di cancellare il popolo di Israele e di sostituirvi, unico vero Popolo di Dio, quello cristiano. Negli ultimi capitoli, Giustino scriveva:



Dopo aver ucciso Cristo non vi siete pentiti; voi ci odiate perché noi attraverso di lui crediamo a Dio e al padre dell’universo: ci uccidete ogni volta che potete; bestemmiate continuamente contro di lui e i suoi discepoli; ciò nonostante noi preghiamo per voi e per tutti gli uomini senza eccezione come ci ha insegnato nostro signore Gesù Cristo….Non sparlate….contro il crocifisso, non schernite le sue piaghe per mezzo delle quale voi potreste guarire come noi siamo guariti….[5]



Alla fine Giustino ribadiva che il Cristo è l’autentico Israele e che i cristiani sono il vero popolo di Israele, secondo lo Spirito[6].

Continuamente, nel corso della storia, il cristianesimo paolino veniva attaccato e sabotato da influssi giudaizzanti (ma anche neo-pagani, certamente) che, colpendolo subdolamente dall’interno, impedivano la nascita, l’incarnazione storica di un’autentica comunità cristiana fedele alla predicazione di Paolo.

Tranne rarissimi casi e particolari personalità, la parola di Paolo, che è la Parola stessa del Cristo, spesso veniva occultata e sabotata proprio da coloro che dovevano farsene incarnazione: rimanevano invece sedotti dalle lusinghe e dalle illusione giudaizzanti, che si erano perfettamente inserite nel tessuto cristiano.

Lo si vede nei tempi attuali quando si parla comunemente di cristianesimo, ma in realtà si finisce – nella gran parte dei casi – nella scuola del giudeo-cristianesimo (l’anatema dell’Apostolo Paolo!), oggi assumente la maschera del sionismo cristiano: una mistificazione scheletrica ed abborracciata in cui il giudaismo messianico veterotestamentario ipernomista (privato e mutilato dell’essenza cosmica del kerigma e del Logos) ed un calvinismo radicalistico si mischiano fino a comporsi in una nuova ideocrazia planetaria, quale autentica ombra dei nostri tempi che nulla ha di cristiano, che prepara la strada al regno antinomista massimamente anticristiano.

L’ipernomismo giudaizzante si concretizza infatti, nei momenti di massima decadenza spirituale, in trasgressione magica antinomista (sia d’esempio la storia del sabbatianesimo e del frankismo): ciò è inevitabile in quanto la Legge, svuotata della sua profonda essenzialità spirituale, simbolo quindi di maledizione, come sosteneva Paolo, portatrice del male cosmico, produttrice del male cosmico, nei momenti di più radicale sovversione dei valori, si impone come il falso lievito ultramessianista che necessita della trasgressione, della rottura spirituale, per rinvigorire in modo adeguato un seducente e potente materialismo magico-metafisico. Qui vi è l’immenso iato metafisico escatologico. Il Cristo, in senso paolino, diviene un maledetto per noi, crocifisso per solidarietà con i trasgressori della Legge, a loro volta per questo maledetti, per aver trasgredito la Legge. E’ una rottura metafisica, quella compiuta dal Cristo, che svuota dall’interno la Legge in quanto si riappropria del suo principio originario trascendente, movimentando la storia umana nel senso dell’Amore e della vittoria eroica sulla morte.

Dall’altro lato, abbiamo invece un nomismo cosmista, un ultralegalismo metafisicamente legittimato da un normativismo astrattamente oggettivistico che diviene, nei momenti storicamente decisivi, normativismo magico che si radicalizza in particolari momenti come antinomismo escatologico fondato sul principio della santità della distruzione e della infima trasgressione, dell’insudiciamento metafisico quale nuova legge, quale necessità rituale. Come possiamo oggi constatare. Tale antinomismo in realtà non fa altro che portare alle sue necessarie quanto tragiche conseguenze un astratto legalismo che si fonda dogmaticamente su una Legge svuotata della sua positiva solare essenzialità, proprio poiché, come insegnava Paolo, gli autentici figli di Dio e i veri discendenti di Abramo erano ormai nel Figlio, erano cioè coloro che, battezzati nello Spirito di Cristo, si rivestivano di Cristo stesso.



Luca Fantini



Luca Fantini, dottore di ricerca in storia della filosofia collabora con la nostra Redazione con particolare attenzione a problemi filosofici, storici e alla questione giudaica



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NOTE


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[1] R. Jewett, Paul: From the semitic point of view, New Testament Studies 17, 1971, pp. 198-212.

[2] J. O’Connor, Paolo. Un uomo inquieto, un apostolo insuperabile, Milano 2007, pag. 138.

[3] J. Pierre Lèmonon, I giudeo-cristiani. Testimoni dimenticati, Milano 2007, pag. 38.

[4] Ivi, pag. 39.

[5] Iustinus, Dial. 133, 4, PG 6, 785.

[6] Dial. 135,1, PG 6, 788.



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