ARTICOLI SULLA RELIGIONE CRISTIANA

mercoledì 2 gennaio 2008

L'INQUISIZIONE ROMANA

Articolo apparso sul n. 278 di Cristianità
"Il giudice e l'eretico. Studi sull'Inquisizione romana" Una lettura
Uno studio dello storico italo-americano John Tedeschi descrive l'organizzazione e le procedure adottate dall'Inquisizione romana per la salvaguardia della fede cattolica e nella lotta contro l'eresia, sfatando numerosi luoghi comuni - soprattutto relativi all'arbitrarietà e alla severità dei tribunali inquisitoriali - ed evidenziando i limiti d'interpretazioni purtroppo sedimentate nell'immaginario collettivo.

Il 23 gennaio 1998, con l'apertura degli archivi del Sant'Uffizio - peraltro già disposta dal 1902 per casi particolari e limitati -, si è concluso un lento e prudente processo iniziato nel 1881, quando Papa Leone XIII (1878-1903) volle aprire agli studiosi l'Archivio Segreto Vaticano. "L'apertura del nostro Archivio - ha dichiarato il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede - si ispira in realtà al compito stesso assegnato dal Santo Padre alla nostra Congregazione di "promuovere e tutelare la dottrina sulla fede e i costumi di tutto l'orbe cattolico". Sono sicuro che aprendo i nostri Archivi si risponderà non solo alle legittime aspirazioni degli studiosi, ma anche alla ferma intenzione della Chiesa di servire l'uomo aiutandolo a capire se stesso leggendo senza pregiudizi la propria storia" (1).
Intervistato dallo scrittore Vittorio Messori nel 1984, lo storico Luigi Firpo (1915-1989), esponente di rilievo della cultura laicista, uno dei pochi studiosi che ha avuto accesso anche ai documenti riservati del Sant'Uffizio, si è espresso così: "Sono sicuro che l'apertura di quell'archivio, sinora assai limitata anche per esigenze organizzative, gioverebbe molto all'immagine della Chiesa [...]. Aprendo a tutti gli studiosi quelle carte, cadrebbero altri pezzi della abusiva leggenda nera che circonda l'Inquisizione" (2).
L'immagine dell'Inquisizione sta infatti mutando, e in senso favorevole, presso gli specialisti, grazie ai risultati della rinnovata ricerca storica. Inoltre, alcune apprezzabili iniziative editoriali stanno mettendo a disposizione di un vasto pubblico testi poco conosciuti al di fuori della cerchia ristretta degli addetti ai lavori. È questo il caso dell'Elogio della Inquisizione, traduzione della voce Inquisition, scritta dallo storico e giornalista francese Jean-Baptiste Guiraud (1866-1953) per il Dictionnaire apologétique de la foi catholique, edito fra il 1911 e il 1913 (3), nota finora soltanto ai frequentatori di biblioteche specializzate e molto utile per un primo approccio allo studio dell'Inquisizione medioevale, la cui fondazione è fatta risalire a Papa Gregorio IX (1227-1247). Anche la storiografia sull'Inquisizione spagnola - l'istituzione creata nel 1478 da Papa Sisto IV (1471-1484), su sollecitazione della regina Isabella di Castiglia (1451-1504) e di re Ferdinando d'Aragona (1452-1516) - ha prodotto negli ultimi decenni rilevanti contributi, sostanziati da approfondite ricerche d'archivio, che hanno consentito di superare i pregiudizi di carattere ideologico su questa istituzione e che sono a disposizione del lettore comune, anche in Italia, grazie alle sintesi offerte dall'inglese Henry Arthur Francis Kamen, dal francese Bartolomé Bennassar e dal danese Gustav Henningsen (4). Una rivisitazione degli studi storici è in corso anche per quanto riguarda l'Inquisizione romana - più precisamente la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione, o Sant'Uffizio, istituita da Papa Paolo III (1534-1549) nel 1542 -, la cui autorità si estendeva soltanto su una parte della penisola italiana, perché in Sicilia e in Sardegna operava l'Inquisizione spagnola, mentre negli altri domìni asburgici, il Regno di Napoli e lo Stato di Milano, le funzioni inquisitoriali erano svolte dai tribunali episcopali del luogo (5).
Uno studio innovativo
Autore dei "primi studi realmente innovativi sul tema" (6) è John Tedeschi, di cui nel 1997 è stato pubblicato in Italia Il giudice e l'eretico. Studi sull'Inquisizione romana (7) - raccolta di undici saggi scritti fra il 1971 e il 1988, tutti ampiamente rivisti e aggiornati, nonché corredati di un imponente apparato critico e bibliografico -, che offre finalmente al grande pubblico i risultati di una ricerca ventennale.
Nato a Modena nel 1931, Tedeschi è emigrato negli Stati Uniti d'America all'età di otto anni, ha studiato all'Università di Harvard, dove la sua attenzione si è concentrata sulla diffusione del protestantesimo in Italia, è stato professore associato nelle università di Chicago, dell'Illinois a Chicago e del Wisconsin a Madison, ha lavorato per quasi due decenni alla Newberry Library, sempre a Chicago, dove ha fondato il Center for Reformation Research Studies. Ha inoltre ricoperto la carica di presidente della Society for Reformation Research e della Sixteenth Century Studies Conference, e ha fatto parte del comitato esecutivo della Renaissance Society of America dal 1971 al 1996.
Quando, nel 1967, ha cominciato a occuparsi dell'Inquisizione romana, ben poco era offerto a chi non volesse fermarsi alle generalizzazioni dello storico statunitense Henry Charles Lea (1825-1909), autore di uno studio monumentale sull'Inquisizione medioevale (8). Le fonti inquisitoriali, infatti, erano state utilizzate fino ad allora soltanto da quanti si occupavano degli eretici italiani con l'intenzione di studiare non l'Inquisizione ma quanti ne erano stati vittime: "[...] il carattere liberale e anticlericale dell'unificazione italiana - osserva lo storico Adriano Prosperi - ha portato a inseguire un'identità nazionale attraverso la storia della cultura e degli intellettuali che avevano unito l'Italia all'Europa (in particolare, l'Europa protestante e liberale) [...]. Insomma, l'autobiografia immaginaria della borghesia risorgimentale incluse da allora una serie di illustri precursori, di spiriti liberi, le cui vicissitudini con la Chiesa e con l'Inquisizione vennero studiate amorevolmente. Ma proprio il carattere ideologico di quell'interesse si rivela nella scarsità di indagini storiche che ne derivava" (9).
Lo studioso italo-americano decide dunque di fondare le sue ricerche sull'esame rigoroso delle molteplici fonti a disposizione per ricostruire correttamente l'iter di un processo inquisitoriale, dalle prime convocazioni alle deliberazioni finali. Fin dall'inizio dei suoi studi, consultando la ricca collezione dei manoscritti conservati nel Trinity College di Dublino, in Irlanda - contenenti sentenze emesse in Italia fra il 1564 e il 1659 - s'imbatte in una serie di elementi che forniscono un quadro nuovo della giustizia inquisitoriale: "il convento o l'abitazione come luoghi prevalenti in cui scontare una pena detentiva; l'importanza attribuita alle circostanze attenuanti e alla consulenza di specialisti nel campo del diritto e della teologia; la relativa mitezza delle sentenze dei processi per stregoneria; il gran numero di casi che si concludevano con abiure sulle gradinate delle chiese; la rarità del ricorso alla pena capitale" (p. 25) e la constatazione che il "carcere perpetuo" non comportava mai l'imprigionamento a vita ma, generalmente, una detenzione di tre anni. "Un banale fraintendimento della terminologia inquisitoriale ha quindi fuorviato più di uno studioso in buona fede, e contribuito alla cattiva fama dell'istituzione" (p. 26), osserva lo storico, che rievoca anche il caso di uno studio sull'eresia a Mantova, il cui autore aveva scorrettamente sostituito "abiurare" con "abbruciare" tutte le volte in cui la prima espressione compariva nel testo: "E quando un autore successivo si sentì tenuto a parlare di "eccessi" dell'Inquisizione mantovana, la sua fonte fu quel resoconto filologicamente inquinato. È chiaro che simili leggerezze autoperpetuantisi non hanno contribuito a un esame obiettivo dell'argomento" (p. 20).
L'esame delle fonti
Tedeschi non si propone di chiarire le origini della leggenda nera sulla spietatezza e sull'arbitrarietà dell'Inquisizione, rinviando a uno studio specifico sul tema (10), ma prende in esame alcuni fattori che hanno contribuito al perpetuarsi di vecchi stereotipi e di fraintendimenti: "Si va dall'uso improprio delle fonti alle affermazioni non sorrette dai dati di fatto e, in qualche caso, a quelli che appaiono deliberati tentativi di distorcere la realtà" (p. 29), cui si aggiungono la tendenza da parte di alcuni autori a considerare regola le aberrazioni, la presenza di contraddizioni anche in una stessa opera e il disaccordo fra gli storici su punti fondamentali pure se facilmente verificabili sulla base dei documenti consultabili. Infatti, la gamma di fonti a disposizione degli studiosi è piuttosto ampia, nonostante le gravi perdite subìte dagli archivi dell'Inquisizione romana, distrutti o dispersi in Irlanda, in Belgio, in Francia, in Italia e, in misura minore, negli Stati Uniti d'America, in conseguenza del saccheggio del Sant'Uffizio operato da funzionari napoleonici nel 1810 e dei danni patiti dalle Inquisizioni provinciali di Firenze, di Milano e di Palermo a causa del vandalismo giacobino o della soppressione delle istituzioni religiose. "La politica della porta chiusa del Sant'Uffizio - osserva Tedeschi - si basa su una decisione burocratica interna e non rappresenta la posizione ufficiale della Chiesa cattolica riguardo all'accesso ai documenti dell'Inquisizione. Raccolte ecclesiastiche provinciali ricche di documenti su tale argomento a Napoli, Pisa, Udine, Firenze e altrove, in misura crescente vengono messe a disposizione degli storici a scopo di ricerca; e innumerevoli codici inquisitoriali conservati presso la Biblioteca Vaticana e l'Archivio Segreto Vaticano sono stati messi a disposizione di studiosi di tutto il mondo, anche sotto forma di microfilm" (p. 214, nota 1).
Alcuni studiosi, anche in anni recenti, hanno sollevato il problema dell'attendibilità dei processi inquisitoriali come documenti storici, e Carlo Ginzburg, in particolare, ha sottolineato il divario di estrazione sociale e culturale che spesso separava giudice e imputato, chiedendosi se tali fonti, pervenuteci attraverso il filtro dei rappresentanti delle classi colte, siano in grado di informarci correttamente sulle idee e sulle affermazioni dell'imputato e dei testimoni (11). A questa domanda - in merito alla quale è già stato osservato, in occasione dell'esame di particolari fonti inquisitoriali medioevali, che "[...] i verbali degli interrogatori sono assai più pieni di vita e aderenti alla verità di quanto normalmente, ma erroneamente, si creda" (12) - Tedeschi risponde che i più responsabili fra i funzionari del Sant'Uffizio erano consapevoli di questa difficoltà e cercavano di evitare possibili abusi. La raccomandazione di evitare scrupolosamente le domande tendenziose e, in generale, di spingere l'interrogatorio in una direzione prestabilita era ripetuta in continuazione sia nei manuali di teoria dei procedimenti inquisitoriali sia nella corrispondenza fra Roma e i tribunali provinciali. La Congregazione del Sant'Uffizio, inoltre, vigilava sulle articolazioni locali, imponendo la puntuale applicazione della legislazione e mirando all'uniformità dei procedimenti: "Decisioni capricciose e arbitrarie, abusi di potere e flagranti violazioni dei diritti umani non erano tollerati" (p. 30).

Oltre la leggenda nera
Le ricerche di Tedeschi consentono di sfatare una lunga serie di luoghi comuni. L'Inquisizione, grazie alla prescrizione, sempre rispettata, di mettere per iscritto le fasi della procedura, le deposizioni e le testimonianze - gli inquisitori "[...] non ritenevano di avere niente di vergognoso da nascondere" (p. 97) -, è una delle prime istituzioni del passato su cui è disponibile una quantità di dati tale da rendere impossibile ogni travisamento storico sia sull'organizzazione sia sulla prassi adottata. Gli inquisitori erano, in genere, persone dotte, oneste e di costumi irreprensibili, poco inclini a decidere in fretta e arbitrariamente la sorte dell'imputato, volti invece ad accordare il perdono al reo e a farlo rientrare in seno alla Chiesa. Diverse garanzie giuridiche a tutela dell'accusato erano parte integrante della procedura inquisitoriale. È accertato che più di un imputato abbia chiesto e ottenuto il cambiamento della sede e la sostituzione dell'inquisitore che si occupava del suo caso, avendo potuto dimostrarne la mancanza di obbiettività. "Non è un'esagerazione affermare che il Sant'Uffizio fu in certi casi un pioniere della riforma giudiziaria. L'avvocato difensore era parte integrante della sua procedura [...], nei tribunali dell'Inquisizione l'imputato riceveva una copia autenticata dell'intero processo [...] e disponeva di un ragionevole lasso di tempo per preparare la propria replica" (p. 30). Inoltre, molti manuali inquisitoriali abbondavano di consigli su possibili strategie difensive.
Nella prassi giudiziaria romana l'uso della tortura era attentamente controllato e sottoposto a una serie di limitazioni: in particolare, occorreva l'autorizzazione del tribunale centrale, che la concedeva soltanto quando i cardinali inquisitori, assistiti da un'équipe di teologi e di specialisti in diritto canonico, ritenevano di aver ricevuto tutte le informazioni importanti sul caso in esame. La tortura doveva essere moderata affinché la vittima, se innocente, potesse tornare a godere la libertà, e, se colpevole, potesse ricevere la giusta punizione. Sebbene fino al secolo XVII l'Inquisizione, come tutti gli altri sistemi giudiziari europei, non abbia rinunciato a ricorrere alla tortura in quelle particolari situazioni in cui si riteneva che una parte essenziale della verità venisse celata pervicacemente, gli inquisitori, a differenza dei giudici civili, ne facevano uso raramente, ritenendo che fosse un fragile e rischioso strumento, spesso incapace di condurre alla verità, soprattutto perché molti riuscivano a sopportare i tormenti grazie alla loro forza d'animo e fisica (13).
Sebbene si pensi generalmente il contrario, solo una piccola percentuale di procedimenti inquisitoriali si concludeva con la condanna a morte, che era riservata ai pertinaci, non disposti in alcun caso a riconciliarsi con la Chiesa, e ai relapsi, i ricaduti, giudicati colpevoli di eresia già in passato. "I dati disponibili sui rei consegnati dall'Inquisizione al braccio secolare indicano che una percentuale decisamente modesta di essi fu giustiziata" (p. 85). Fra i primi mille imputati che comparvero davanti al tribunale di Aquileia fra il 1551 e il 1647 solo quattro furono giustiziati. A Milano nella seconda metà del 1500 si contarono dodici esecuzioni capitali per eresia e soltanto una a Modena, nel 1567. Quanto alle oltre duecento sentenze, alcune concernenti più di un imputato, contenute nei manoscritti del Trinity College, solo in tre di esse era invocata l'estrema sanzione, mentre a Roma si contarono novantasette condannati a morte dal Sant'Uffizio fra il 1542 e il 1761. Dati analoghi emergono dal confronto con l'Inquisizione spagnola, che fra il 1540 e il 1700 ha comminato 820 volte la pena capitale su un totale di 44.000 casi, cioè una percentuale dell'1,9 per cento.
Inoltre, poiché la carcerazione come pena anziché come misura precauzionale durante il procedimento fece la sua comparsa in Europa negli ultimi decenni del 1500, "[...] l'Inquisizione, col suo secolare ricorso alla detenzione ad poenam, dev'essere considerata all'avanguardia anche nel diritto penale, in un'epoca in cui le altre opzioni a disposizione del giudice si riducevano al rogo, alla mutilazione, alle galee e all'esilio" (p. 31). Basandosi su vari documenti, compresi quelli del processo a Giordano Bruno (1548-1600), nonché su un sopralluogo in prima persona, Luigi Firpo ha ricostruito le condizioni di vita nelle prigioni romane del Sant'Uffizio, demolendo le teorie fantasiose di alcuni autori: "Si scoprirebbe poi che gli Ucciardone e le Rebibbia di oggi sono le vere bolge infernali rispetto alle troppo diffamate celle dell'Inquisizione, dove la vita era ritmata da regolamenti severi ma non disumani. Era, per esempio, prescritto che lenzuola e federe si cambiassero due volte alla settimana: roba da grande albergo.... [...] Una volta al mese, i cardinali responsabili dovevano ricevere uno a uno i prigionieri per sapere di che avessero bisogno. Mi sono imbattuto in un recluso friulano che chiese di avere birra al posto del vino. Il cardinale ordinò che si provvedesse, ma, non riuscendo a trovare birra a Roma, ci si scusò con il prigioniero, offrendogli in cambio una somma di denaro perché si facesse venire la bevanda preferita dalla sua patria" (14).
Ai responsabili di reati particolarmente gravi e ripugnanti era riservata invece la detenzione sulle galee, "[...] che possono essere considerate, in un certo senso, l'equivalente delle nostre carceri di massima sicurezza" (p. 117).
Se il rogo, la reclusione "a vita" e i lavori forzati sulle galee sono le sanzioni associate nella mente dei più ai processi dell'Inquisizione, l'esame delle sentenze mostra il predominio di pene molto più lievi. "Con particolare frequenza si incontrano atti di umiliazione pubblica sotto forma di abiure lette sulle gradinate delle chiese, di domenica o in occasione di festività religiose, di fronte a folle di fedeli; multe o servigi a favore di istituzioni caritative; e cicli apparentemente interminabili di preghiere e atti di devozione da compiere per mesi e anni" (p. 119). Spesso erano comminati gli arresti domiciliari, generalmente congiunti allo svolgimento di attività utili alla comunità e al ricupero morale del reo (15).
Per quanto riguarda la tipologia dei reati si colgono sostanziali differenze fra i due grandi sistemi inquisitoriali dell'età moderna, derivanti dal fatto che l'Inquisizione romana era stata rifondata nel 1542 per fronteggiare la diffusione del protestantesimo nella penisola italiana, mentre quella spagnola era stata istituita più di mezzo secolo prima per affrontare il problema delle false conversioni dall'ebraismo al cristianesimo. Negli Stati italiani, quindi, il "luteranesimo" fu la preoccupazione maggiore dei funzionari inquisitoriali, finché nel secolo XVII la pratica della magia soppiantò il protestantesimo come capo d'imputazione più comune. Peraltro, l'assidua vigilanza di Roma nei confronti della magia - nella quale raramente erano incluse la stregoneria o il satanismo - non comportò una grande severità in termini di pene. "Come riconosciuto anche da Lea quasi un secolo fa, entrambe le grandi Inquisizioni del Mediterraneo erano assai caute e moderate a questo riguardo, in confronto ai tribunali secolari" (p. 85). Tedeschi, fra l'altro, contesta la tesi secondo cui il manuale inquisitoriale Malleus maleficarum, scritto dai domenicani tedeschi Heinrich Kramer (1430 ca.-1505) e Jakob Sprenger (1436 ca.-1495) e pubblicato nel 1486, sia stato il testo canonico per la persecuzione dei sospettati di stregoneria nei due secoli seguenti, documentando come una filosofia radicalmente opposta trovasse consensi crescenti nei tribunali del Sant'Uffizio nella seconda metà del 1500 fino a raggiungere dignità di norma con l'Instructio pro formandis processibus in causis strigum, sortilegiorum et maleficiorum, del 1624.
Conclusione
L'Inquisizione ha rappresentato un fenomeno plurisecolare e dalle molteplici caratteristiche a seconda dei luoghi e dei contesti storici nei quali si è esplicato, ma è stata comunque "[...] espressione del passaggio da una società contraddistinta dalla convivenza fra le diverse comunità religiose a un'altra sempre più contrassegnata da conflitti, e [...] la risposta della Chiesa e della cristianità alla minaccia rappresentata dall'eresia (Catari e Albigesi) e, successivamente, in Spagna, dalle false conversioni di giudei e musulmani" (16). Come il ruolo svolto dai tribunali inquisitoriali fu decisivo per assicurare la pace sociale e religiosa in Spagna, così l'Inquisizione romana ha rappresentato nella penisola italiana un bastione invalicabile contro ogni deviazione dottrinale in tempi "[...] in cui la Chiesa - come ricorda il cardinale Ratzinger - ha dovuto difendere la fede dei più piccoli in contesti frequentemente polemici se non manifestamente aggressivi" (17).
La storia di questa istituzione è stata travisata e deformata per secoli, finché accurate ricerche documentarie hanno aperto la strada a lavori scientifici innovativi, anche grazie all'esempio e allo stimolo forniti dall'opera di John Tedeschi. È auspicabile ora che la nuova immagine dell'Inquisizione esca dall'ambito specialistico ed entri a pieno titolo nel patrimonio culturale anzitutto dei cattolici, i quali sono ancora affetti da un ingiustificato complesso d'inferiorità a causa di una scarsa conoscenza della loro storia.
Francesco Pappalardo

(1) Card. Joseph Ratzinger, "La soglia della verità", in Avvenire, anno XXXI, n. 19, 23-1-1998, p. 21. Già un secolo fa Papa Leone XIII, dopo aver osservato che, almeno negli ultimi tempi, "[...] si può asserire fondatamente che la scienza storica sembra essere una congiura degli uomini contro la verità" (Epistola Saepenumero considerantes, del 18-8-1883, in Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, vol. V, Leone XIII (1878-1903), parte prima, 1878-1891, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 158-165 [p. 159]), affermava: "I non travisati ricordi dei fatti, se analizzati con animo tranquillo e senza opinioni pregiudiziali, di per se stessi difendono, spontaneamente e magnificamente, la Chiesa e il Pontificato" (ibid., p. 158).
(2) Cit. in Vittorio Messori, Inchiesta sul cristianesimo, Società Editrice Italiana, Torino 1987, p. 27.
(3) Jean-Baptiste Guiraud, Elogio della Inquisizione, a cura di Rino Cammilleri, con un invito alla lettura di Vittorio Messori, Leonardo, Milano 1994 (cfr. la mia recensione in Cristianità, anno XXIII, n. 239, marzo 1995, pp. 24-26). Sull'Inquisizione medioevale vedi anche Leo Moulin, L'Inquisizione sotto inquisizione, a cura dell'Associazione Culturale ICARO, Cagliari 1992; e il mio L'Inquisizione medioevale, in IDIS, Voci per un "Dizionario del Pensiero Forte", a cura di Giovanni Cantoni e con una presentazione di Gennaro Malgieri, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 131-136.
(4) Henry Kamen, Inquisition and Society in Spain in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, Weidenfeld and Nicolson, Londra 1985, di cui esiste una successiva traduzione spagnola ampliata, La inquisición española, Editorial Crítica, Barcellona 1985, che modifica radicalmente il giudizio negativo espresso nel 1965 (cfr. L'Inquisizione spagnola, trad. it., Feltrinelli, Milano 1973); nonché Idem, The Spanish Inquisition. A Historical Revision, Yale University Press, New Haven, Connecticut 1998; Bartolomé Bennassar, Storia dell'Inquisizione spagnola dal XV al XIX secolo, trad. it., Rizzoli, Milano 1994; e Gustav Henningsen, L'avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, trad. it., Garzanti, Milano 1990. Una rassegna bibliografica sull'argomento è stata compiuta da Brian van Hove S.J., Oltre il mito dell'Inquisizione, in La Civiltà Cattolica, anno 143, vol. IV, quaderno 3419, 5-12-1992, pp. 458-467, e quaderno 3420, 19-12-1992, pp. 578-588. Cfr. anche Joseph De Maistre (1753-1821), Elogio dell'Inquisizione di Spagna, con prefazione di Rino Cammilleri, Il Cerchio, Rimini 1998; e il mio L'Inquisizione spagnola, in IDIS, Voci per un "Dizionario del Pensiero Forte", cit., pp. 137-142.
(5) Cfr. Adriano Prosperi, L'Inquisizione: verso una nuova immagine?, in Critica storica, anno XXV, gennaio-marzo 1988, n. 1, pp. 119-145, e Idem, L'Inquisizione romana. Dal declino della mentalità magica ai conflitti interni al clero, alla storia della censura, in Prometeo. Rivista trimestrale di scienze e storia, anno 11, n. 44, dicembre 1993, pp. 18-29, nonché Idem, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino 1966. Cfr. anche AA.VV., L'Inquisizione romana in Italia nell'età moderna. Archivi, problemi di metodi e nuove ricerche, a cura di Andrea Del Col e Giovanna Paolin, Atti del seminario internazionale di Trieste (18/20-5-1988), Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1991. Sull'Inquisizione spagnola in Italia cfr. Agostino Borromeo, Contributo allo studio dell'Inquisizione e dei suoi rapporti con il potere episcopale nell'Italia spagnola, in Annuario dell'Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, anno XXIX-XXX (1977-1978), Roma 1979, pp. 219-276. Sull'attività dei tribunali inquisitoriali a Napoli e a Milano, dove non fu mai accettata l'introduzione dell'Inquisizione spagnola, perché avrebbe minacciato privilegi e libertà tradizionali, cfr. Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell'Italia della Controriforma, Sansoni, Firenze 1990; e Romano Canosa, Storia dell'Inquisizione in Italia dalla metà del Cinquecento alla fine del Settecento, 5 voll., Sapere 2000, Roma 1986-1990.
(6) A. Prosperi, L'Inquisizione in Italia, in Clero e società nell'Italia moderna, a cura di Mario Rosa, Laterza, Bari-Roma 1992, pp. 275-320 (p. 293).
(7) Cfr. John Tedeschi, Il giudice e l'eretico. Studi sull'Inquisizione romana, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1997 (The Prosecution of Heresy. Collected Studies on the Inquisition in Early Modern Italy, Binghamton, New York, 1991). Tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano a quest'opera.
(8) Cfr. Henry Charles Lea, A History of the Inquisition of the Middle Ages, New York 1887, 3 voll. È significativo che Lea, sebbene poco benevolo nei confronti dell'Inquisizione, abbia scritto che, nel Medioevo, "[...] la causa dell'ortodossia non era altro che la causa della civiltà e del progresso" (Storia dell'Inquisizione. Fondazione e procedura, trad. it. del primo volume, Fratelli Bocca Editori, Torino 1910, p. 118).
(9) A. Prosperi, L'Inquisizione: verso una nuova immagine?, cit., pp. 127-128.
(10) "Tanto la storia quanto il mito sono brillantemente discussi da E[dward]. Peters in Inquisition, New York-London 1988" (p. 201, n. 3).
(11) Cfr. Carlo Ginzburg, Stregoneria e pietà popolare. Note a proposito di un processo modenese del 1519, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Sezione II. Lettere, storia e filosofia, vol. XXX, 1961, pp. 269-287, e più in generale Idem, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Einaudi, Torino 1966.
(12) Giovanni Grado Merlo, I registri inquisitoriali come fonti per la storia dei gruppi ereticali clandestini. Il caso del Piemonte basso medievale, in Histoire et clandestinité du Moyen-Âge à la première guerre mondiale. Colloque de Privas (Mai 1977), a cura di M. Tilloy, Gabriel Audisio e Jacques Chiffoleau, Albi 1979, pp. 59-74 (p. 72).
(13) Tedeschi in proposito riporta una considerazione di John Langbein, autore di Torture and the Law of Proof. Europe and England in the Ancien Régime (Chicago-Londra 1977, p. 185): "Dobbiamo tenere presente che nessun aspetto della condizione umana è mutato così radicalmente, nel ventesimo secolo, come la tolleranza della sofferenza fisica. I comuni analgesici e l'anestesia hanno in gran parte eliminato dalla nostra vita l'esperienza del dolore somatico. A causa di malattie, parti, interventi chirurgici e odontoiatrici i nostri antenati si abituavano a livelli di sofferenza che per noi risultano incomprensibili" (p. 300, nota 113).
(14) Cit. in V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo, cit., p. 27.
(15) Lo scienziato pisano Galileo Galilei (1564-1642) fu condannato agli arresti domiciliari - scontati nella sua villa di Arcetri, presso Firenze, dove continuò a ricevere gli allievi e potè completare la stesura di alcune opere - e alla recita settimanale dei salmi penitenziali: cfr. Luciano Benassi, Galileo Galilei. La leggenda del "martire" della scienza moderna, in AA. VV., Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, a cura di Franco Cardini, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1994, pp. 329-352.
(16) Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti, Integrazioni bibliografiche, in J.-B. Guiraud, Elogio della Inquisizione, cit., pp. 165-189 (pp. 167-168), che riprendono una considerazione di Henry Kamen.
(17) Cad. J. Ratzinger, art. cit.
Intervista con lo storico Jean Dumont
L'Inquisizione fra miti e interpretazioni a cura di Massimo Introvigne
Cristianità n. 131 (marzo 1986)
Jean Dumont, che ho incontrato a Torino in occasione di una conferenza sulla Rivoluzione francese organizzata il 26 febbraio 1986 da Alleanza Cattolica e da Amicizia Cattolica, e soprattutto noto - oltre che per un suo recente best-seller sulla Rivoluzione francese - per le sue ricerche sull'Inquisizione spagnola, un argomento di cui è considerato uno dei maggiori specialisti mondiali. Su questo tema, poco noto al pubblico italiano al di là dei miti e dei luoghi comuni, ho rivolto a Jean Dumont alcune domande.
La propaganda rivoluzionaria e il mito dell'Inquisizione spagnola
D. Nel suo volume sulla Rivoluzione francese vengono passati in rassegna i miti anti-cattolici diffusi dagli illuministi negli anni precedenti il 1789 e che preparano il clima rivoluzionario. Tra questi miti Lei non cita l'Inquisizione spagnola. Perché? .
R. La polemica contro l'Inquisizione non e centrale nella letteratura anti-cattolica degli anni precedenti il 1789. Sull'argomento vengono diffusi soltanto uno o due opuscoli, mentre vi sono decine di testi su altri temi come il preteso genocidio del Perù o la pretesa corruzione morale nei conventi. II vero mito dell'Inquisizione spagnola nasce più tardi, con l'invasione della Spagna e la propaganda - stampata del resto in Francia - di autori illuministi e liberali spagnoli come Juan Antonio Llorente. Vi è una ragione che spiega perché l'arma della polemica anti-inquisitoriale non sia stata usata prima del 1789: in Francia era ancora vivo il ricordo della letteratura propagandistica finanziata dal cardinale di Richelieu contro la Spagna, che accusava l'Inquisizione spagnola - al contrario - di non essere seria e di non perseguire a sufficienza i nemici della fede; si trattava di dimostrare - falsamente, peraltro - in funzione antispagnola che solo la Francia, figlia primogenita della Chiesa, difendeva davvero la fede.
Le diverse Inquisizioni
D. Nei suoi scritti sull'Inquisizione Lei distingue anzitutto fra Inquisizione francese, spagnola e romana in modo molto netto ...
R. Per la verità i miei studi riguardano soprattutto l'Inquisizione spagnola, anche se molto recentemente ho raccolto documenti interessanti sull'Inquisizione francese e sulla crociata contro gli albigesi. Su quest'ultimo argomento credo significativo raccontare un piccolo aneddoto. Se si apre un qualunque testa scolastico francese di storia si legge che, nella crociata contro gli albigesi, e stata distrutta la città di Bèziers e ne sono stati massacrati tutti gli abitanti. Ai capi militari della crociata, che chiedevano come distinguere tra abitanti albigesi e cattolici, il legato pontificio avrebbe risposto: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi». È una frase famosa, che si radica nella memoria di tutti gli scolari francesi. Bene: eruditi locali hanno recentemente mostrato che a Béziers non vi erano albigesi, che la crociata non e passata da Béziers e meno che mai sono transitati dalla città «legati pontifici». Béziers fu messa a sacco - e vero in anni non lontani dalla crociata, ma nel contesto di una guerra feudale tra due famiglie della zona, del tutto priva di motivazioni religiose. Ma chi corregge i libri di testo? Per valutare l'Inquisizione francese delle origini occorre avere anzitutto una buona informazione sui catari: non si trattava di un movimento di pacifisti innocui, ma di bande di fanatici che predicavano l'assassinio dei nemici e if suicidio di massa - la famosa endura, una sorta di auto-genocidio -, quindi di un pericolo mortale per l'Europa, che l'Inquisizione francese ha definitivamente sconfitto, peraltro spesso con la mitezza e la tolleranza e solo raramente con la forza. A partire da Filippo il Bello l'Inquisizione francese diventa una sigla di cui si appropria il potere politico «laico» e su cui la Chiesa non ha più alcun controllo effettivo. I tribunali «inquisitoriali» che processano i templari e poi Giovanna d'Arco non sono più la vera Inquisizione, ma manifestazioni del potere "laico".
Quanto all'Inquislzione romana - su cui molti studi restano da fare - la mia impressione, come specialista dell'Inquisizione spagnola, e di trovarmi di fronte a una realtà per certi versi dilettantesca, priva della competenza e della sapienza giuridica che si manifestano in Spagna. Spesso gli inquisitori romani non sono inquisitori di professione, ma personaggi di curia, impegnati in mille altre cose e che, occasionalmente, esercitano questa funzione giudiziale: Questa circostanza - mi pare - potrebbe spiegare certi errori evidenti e certe severità eccessive che talora appaiono frettolose. Quando parlo di severità eccessive non dimentico, naturalmente, che anche l'Inquisizione romana, nei suoi periodi più duri, era pur sempre più tollerante dei tribunali «laici» delle stesse epoche; e delle Inquisizioni protestanti, che erano davvero durissime come hanno mostrato gli studi recenti di Jean-Marc Brissaud che - come direttore di collane editoriali - ho contribuito a far pubblicare.
All'origine dell'Inquisizione spagnola
D. La sua tesi centrale sull'Inquisizione spagnola - come emerge dai suoi libri - e che si e trattato di un'istituzione necessaria, indispensabile e che ha evitato guai peggiori ...
R. Raramente chi parla dell'Inquisizione spagnola adotta il punto di partenza corretto, che e la questione ebraica in Spagna. II problema era antico: già in epoca romana l'Andalusia veniva chiamata «la seconda Palestina» per il gran numero di ebrei che vi si erano stabiliti fin da tempi antichissimi, seguendo i fenici. Si calcola che in epoca imperiale il venticinque per cento della popolazione andalusa fosse ebrea, con punte del trentatré per cento nelle grandi città come Siviglia e Cadice. Certi studiosi sostengono che una intera tribù d'Israele, la tribù di Giuda, si era trasferita in Andalusia. Con il cristianesimo questi ebrei non si convertono; recentemente sono stati pubblicati i documenti completi del primo concilio nazionale nella storia della Chiesa, il concilio di Elvira agli inizi del IV secolo; dove si può dire che non si e parlato altro che degli ebrei andalusi. Mille anni dopo, nel secolo XV, il problema si poneva in modo diverso. Molti ebrei si erano convertiti al cattolicesimo formando una classe di conversos che dominava l'economia, la cultura e talora anche le cariche ecclesiastiche, suscitando il rancore dei cattolici di origine non ebraica, che a poco a poco si vedevano sfuggire tutte le posizioni di potere. II rancore diventa violenza quando, in alcuni casi evidenti, gruppi di conversos rivelano chiaramente che la loro adesione al cattolicesimo e stata puramente formale e mossa dal desiderio di occupare cariche pubbliche - riservate ai cattolici - celebrando in pubblico riti inequivocabilmente giudaici o «giudaizzando» i riti cattolici. È un fatto noto agli storici e largamente provato che, a un certo punto, nella cattedrale di Cordoba si celebrava un ufficio che aveva ben poco di cattolico e dove tutti i riferimenti culturali erano giudaici. A partire dal 1391 esplodono in Spagna episodi di violenza popolare contro gli ebrei, sia di religione giudaica che conversos, che fa molti morti: e sarebbe stato un bagno di sangue senza il ricorso all'Inquisizione, richiesto insistentemente al re da molti autorevoli conversos. Qual e dunque lo scopo primo dell'Inquisizione? Colpire i falsi conversos che hanno finto la conversione per ragioni di convenienza e che «giudaizzano» i riti cattolici. Ma qual è il rovescio della medaglia? L'Inquisizione, colpendo una ridotta percentuale di conversos, certifica che tutti gli altri conversos – la stragrande maggioranza, quella che non viene colpita - e composta da veri cattolici e da veri spagnoli, che nessuno ha il diritto di discriminare e meno ancora di attaccare con la violenza. Dal momento in cui nasce l'Inquisizione spagnola i promotori di tumulti anti-giudaici perdono qualunque giustificazione, vengono colpiti dal potere reale e in pochi anni i tumulti spariscono. Colpendo una minima percentuale di conversos fittizi l'Inquisizione ha salvato gli ebrei convertiti di Spagna dalle invidie e dai tumulti e ne ha garantito la prosperità: sono di origine ebraica Diego Lainez, il grande protagonista del Concilio di Trento, molti gesuiti, grandi famiglie come gli Acosta di Medina del Campo - che daranno cinque fratelli, i famosi padri Acosta, alla Compagnia di Gesù - e i marchesi di Cadice, poi noti come duchi di Arcos. Ma ancora: a chi la Chiesa mette in mano l'Inquisizione? A conversos, a cattolici di origine ebraica come Tomas de Torquemada e come il suo successore Diego Deza. Garanzia di un trattamento senza pregiudizi anti-giudaici; e forse ragione occulta delle incredibili menzogne che tutta una letteratura di propaganda ha diffuso su questi personaggi. Pochi sanno che lo stesso Torquemada e uno dei maggiori mecenati e protettori di artisti della sua epoca: tutto il magnifico complesso di San Tommaso d'Avila, il vertice del gotico spagnolo, e il frutto del mecenatismo di Tomas de Torquemada, a cui deve molto anche la grande pittura di Pedro de Berruguete. Ma desterà ancora maggiore stupore sapere che Tomas de Torquemada e stato un inquisitore generale relativamente mite e liberale, che si e battuto per ottenere ampie amnistie come quella del 1484, di cui ha beneficiato il nonno di santa Teresa d'Avila, un ebreo converso sorpreso a «giudaizzare» che con l'amnistia si ritrova libero e riabilitato fino a potere diventare direttore delle finanze reali ad Avila. Tra l'altro, la, pena a cui era stato condannato non era poi terribile: doveva visitare in abito da penitente un certo numero di chiese tutti i venerdì.
I fatti e le cifre
D. L'obiezione che le è stata talora rivolta e che - se anche le dimensioni quantitative delle condanne dell'Inquisizione sono state esagerate e vanno riviste - resta pur sempre vero che un certo numero di uomini ha perso la vita per le proprie idee, un fatto a cui la coscienza moderna afferma di ribellarsi ...
R. Anzitutto l'esagerazione relativa alle cifre e stata talmente clamorosa da far concludere alla falsificazione deliberata. Vi sono ancora in circolazione libri che parlano di centinaia di migliaia di vittime dell'Inquisizione spagnola: libri scritti da persone che ricopiano fonti propagandistiche dell'Ottocento e che non sanno neppure che dagli archivi possono essere ottenere informazioni quasi complete. Uno studio quantitativo, condotto anche con l'aiuto del computer, dei processi dell'Inquisizione spagnola e in corso, ma vi sono già dei risultati parziali. Uno specialista danese, Gustav Henningsen, completato lo spoglio di cinquantamila processi che coprono l'arco di centoquarant'anni, ha reperito circa cinquecento casi di condanne a morte eseguite, cioè l'uno per cento. Altri studiosi hanno confermato questi dati. L'Inquisizione spagnola è figlia della sua epoca, e va paragonata a fenomeni analoghi in altri paesi, per esempio alle decine di migliaia di morti della repressione anticattolica in Irlanda e in Inghilterra. Quanto alla coscienza moderna, e poi così certa di essere più tollerante di ieri? La repressione ideologica. religiosa, razziale comunista o nazionalsocialista ha fatto milioni di morti, mille e più volte dell'Inquisizione spagnola, E l'alternativa all'Inquisizione spagnola - come ho accennato - sarebbe stata la furia cieca e sanguinaria dei tumulti anti-ebraici e della guerra civile. Non è poi del tutto esatto dire che le vittime dell'Inquisizione spagnola sono morte «per le loro idee»: nessun ebreo dichiarato è stato condannato perché tale, mentre sono stati condannati coloro che si fingevano cattolici per ricavarne vantaggi. Come tutti i tribunali l'Inquisizione ha commesso errori; ma doveva essere un tribunale prudente, se lo spoglio degli archivi sta rivelando che un processo su cento portava il condannato alla pena capitale. Degli altri novantanove si penserà forse che esponessero il reo ai famosi orrori delle «prigioni dell'Inquisizione». In realtà, solo recentemente gli storici hanno scoperto - è ormai un fatto indiscusso - che le formule «prigione perpetua» e «prigione irremissibile» non significano affatto l'ergastolo, ignoto in Spagna. La «prigione perpetua» durava in genere cinque anni e quella «irremissibile» otto. Le prigioni dell'Inquisizione erano fra le migliori dell'epoca e molti istituti moderni a favore dei detenuti risalgono all'Inquisizione spagnola: il trasferimento in casa o in convento dei detenuti anziani e ammalati, per esempio, così come la semi-liberta. Tutto questo in un'epoca in cui il carcere «laico» era - quello si - spesso spaventoso. Vale la pena, forse, di aggiungere una parola sulla tortura: era comune all'epoca nella procedura «laica», mentre le istruzioni degli inquisitori generali raccomandano di farvi ricorso con la più grande parsimonia. Anche qui parlano i verbali e gli archivi: nell'epoca di maggiore voga della tortura, in Spagna, a Valenza, su duemila processi dell'Inquisizione, nell'arco che va dal 1480 al 1530, sono. stati ritrovati dodici casi di tortura. La proporzione in altre epoche e altre città in genere non e la stessa: è minore.
Ho insistito sui processi conto i giudaizzanti e i falsi conversos perché statisticamente rappresentano la grande maggioranza dei processi dell'Inquisizione spagnola; sono molti meno i casi in cui sono stati presi in considerazione musulmani falsamente convertiti, e pochissimi i casi di repressione di umanisti o di illuministi. I seguaci spagnoli di Erasmo, che ho particolarmente studiato, tra cui i Valdés - di cui ho ritrovato gli archivi - sono stati disturbati; ma mai seriamente perseguiti. E chi viene presentato come grande martire illuminista degli ultimi anni dell'Inquisizione? Pablo de Olavide. Per dare un esempio ai lettori e diffusori dei filosofi francesi - i cui libri, teoricamente vietati, sono stati ritrovati in gran copia nelle biblioteche spagnole del Settecento - Pablo de Olavide viene condannato dall'Inquisizione, nel 1778, alla prigione «irremissibile», dunque - come sappiamo - a otto anni, da scontare in con vento anziché in prigione a causa della sua malattia. Appena in convento, Pablo de Olavide protesta di aver bisogno di cure termali, e viene mandato alle terme in Castiglia. Poiché queste non gli giovano, protesta di nuovo chiedendo di essere mandato ad altre terme in Catalogna. Anche stavolta l'Inquisizione lo accontenta, e cosi da una stazione termale vicina al confine può facilmente rifugiarsi in Francia dove viene accolto come martire dell'Inquisizione destinato ad una lunga carriera sui libri di testo; i quali tra l'altro - dimenticano di dire che Olavide, anni dopo, sarà convertito dal terrore rivoluzionario e, da illuminista che era, chiuderà la sua vita scrivendo in difesa della religione.
II futuro del mito
D. Il mito relativo all'Inquisizione e stato in parte demolito: ma le ricerche degli specialisti non sono affatto conosciute dal grande pubblico. Prevede qualche modifica a questa situazione nel prossimo futuro?
R. Circa la Francia sono scettico. In Spagna passo gran parte del mio tempo, e mi sembra che sia rimasto almeno qualcosa di quello spirito che spingeva il popolo a firmare in massa, nel tardo Settecento, petizioni di protesta contro l'abolizione dell'Inquisizione. Le voglio raccontare una delle esperienze più interessanti della mia vita. Dopo la pubblicazione del mio volume sull'Inquisizione spagnola, la Gran Loggia della massoneria francese - e sappiamo che importanza ha l'Inquisizione nella propaganda massonica - mi ha invitato, nell'ottobre del 1983, a tenere una conferenza a porte chiuse, con successivo dibattito, ai massoni di venti diverse logge francesi e a una delegazione di massoni spagnoli. Una conferenza bizzarra; come oratore ero messo in una posizione quasi laterale al pubblico, che rimaneva in ombra in modo che non potessi distinguere bene le persone. Ho riassunto il mio libro senza omettere nulla, e alla fine il gran maestro ha introdotto il dibattito con un attacco durissimo, dicendo che il mio intervento era stato provocatorio. Da parte mia, non avevo promesso niente di diverso. Ebbene, uno dei massoni spagnoli si e alzato e ha detto che le critiche del gran maestro erano fuori posto, e che la lezione da trarre dalla mia conferenza era che bisogna smettere di attaccare la Chiesa con argomenti ormai storicamente inaccettabili e che rischiano di essere confutati. Qualche tempo dopo questo signore – un avvocato molto noto a Malaga - è venuto a trovarmi in Spagna e mi ha raccontato un episodio che mostra come il popolo spagnolo - che può avere punte di anticlericalismo feroce conserva un certo rispetto per la sua storia. Raccontava questo massone spagnolo di essersi fermato in un caffè di periferia pieno di operai in tuta arringati da un pastore protestante - vi è una vera offensiva protestante in Spagna - che li invitava a una riunione. A un certo punto, di fronte alle insistenze del pastore, un operaio aveva dato questa risposta, in cui vi e tutta una certa Spagna: «Senti, amico, io sono ateo. Non credo neppure al Dio cattolico, che e il vero Dio. Figuriamoci se credo al tuo ...».
a cura di Massimo Introvigne
Jean Dumont: elementi bio-bibliografici
Jean Dumont e nato a Lione nel 1923. Si e laureato prima in storia e filosofia e poi in giurisprudenza, rispettivamente a Lione e a Parigi. Insieme a Regine Pemoud e a Philippe Ariès incarna la scelta - tipicamente francese - di svolgere la professione di storico al di fuori delle università, a contatto diretto e spesso itinerante con gli archivi. Da oltre quarant'anni in qualità di direttore editoriale ha curato collane storiche presso importanti editori francesi, da Grasset al Club des Amis du Livre, da François Beauval a Famot. In questa veste ha pubblicato - ma spesso anche ideato, commissionato, rivisto, annotato - oltre mille opere storiche, diventando un punta di riferimento imprescindibile per tre generazioni di cultori francesi della materia. Infaticabile ricercatore di inediti, ha ritrovato fra l'altro il salterio di Anna Bolena - un documento cruciale per la storia della Riforma - e gli archivi delle famiglie spagnole Valdes e Cervantes. A fronte di questa enorme mole di attivita e diventata quasi un hobby la traduzione di opere straniere, dove Jean Dumont si e fatto notare come divulgatore della letteratura italiana, volgendo nella sua lingua, fra le altre, opere di Corrado Alvaro e di Massimo Bontempelli. Maestro capace di suscitare e di organizzare intorno a se il lavoro degli storici, Jean Dumont è anche uno storico di fama mondiale per le sue ricerche sulla vita religiosa soprattutto dei secoli dal Cinquecento al Settecento in Spagna, nelle colonie spagnole e in Francia. Particolarmente noti e autorevoli sono i suoi lavori sulla Inquisizione spagnola, in parte raccolti nel volume Proces contradictoire de l'Inquisition espagnole (Famot, Ginevra 1983). Convinto della necessita di diffondere capillarmente la cultura storica e di sfatare i luoghi comuni propagati dalle ideologie, Jean Dumont ha raggiunto il grande pubblico con due best-seller: L'Église au risque de l'histoire (Criterion, Limoges 1982), una rassegna di "miti" sulla storia della Chiesa, e La Revolution française ou les prodiges du sacrilege (Criterion, Limoges 1984). Quest'ultima opera - recensita da molti settimanali e quotidiani di lingua francese in vari paesi - e stata riassunta e commentata per la prima volta in Italia in un saggio di Massimo Introvigne (La Rlvoluzione francese: verso una interpretazione teologica?, in Quaderni di «Cristianità», anno I, n. 2, estate 1985, pp. 3-25) e, fra altri riconoscimenti, e valso a Jean Dumont il singolare privilegio di essere chiamato a collaborare come consulente - lui, critico spietato della Rivoluzione - con il comitato costituito a Parigi dal sindaco Jacques Chirac per preparare le manifestazioni culturali che ricorderanno nel 1989 il secondo centenario della presa della Bastiglia.

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